Discorso introduttivo tenuto il 14 luglio 2015 alla Reggia di Caserta in occasione dell’evento di presentazione del Center for Near Space
Oggi per l’Italian Institute for the Future è un giorno molto importante. Lanciamo il nostro primo centro di competenza, il Center for Near Space, nato allo scopo di canalizzare in un’unica realtà tutte le iniziative che da tempo l’IIF porta avanti nel settore dello Spazio. Altri centri seguiranno nei prossimi mesi, nell’ottica di un consolidamento delle attività dell’IIF, i cui settori di interesse, per la natura stessa del nostro progetto, sono tantissimi: dall’economia alla politica internazionale, dagli scenari tecnologici alla sostenibilità ambientale. Il comun denominatore delle nostre attività di ricerca, formazione e divulgazione è il lungo termine. Tutti i temi che ho citato prima, e innanzitutto il tema dello Spazio, sono letti con un’ottica particolare, che rifiuta il presentismo e cerca di coglierne le trasformazioni future, su un orizzonte temporale che va dai dieci ai trenta o quarant’anni nel futuro. È quest’inclinazione mentale che rappresenta la caratteristica dell’IIF: il suo obiettivo è di riportare, nel dibattito e nell’agenda di questo Paese, la visione di lungo periodo, la programmazione, l’anticipazione delle sfide che ci attendono. E penso che, in un momento come questo, in cui stiamo vivendo sulla nostra pelle i danni di una visione corta – mi riferisco al problema del debito sovrano dei paesi europei, che conoscevamo da decenni, ma potrei citare il cambiamento climatico, la disoccupazione, l’immigrazione fuori controllo, l’insostenibilità del sistema pensionistico in una società che invecchia sempre più – un’iniziativa come quella dell’IIF acquisti qualche importanza. Ne eravamo convinti due anni fa, quando abbiamo iniziato, e credo che il tempo, purtroppo, ci stia dando ragione.
Si potrebbe pensare allora che lanciare oggi un Center for Near Space, che intende dare il proprio contributo al rilancio dell’industria spaziale in Italia e al riavvicinamento tra settore spaziale e grande pubblico, sia un po’ fuori tema. Spesso si sente dire che andare nello Spazio è bello, ma che abbiamo cose più importanti da risolvere prima qui sulla Terra. Da parte mia posso dire che sono sempre stato convinto che lo Spazio sia una delle soluzioni all’impasse in cui ci troviamo da qualche decennio a questa parte. Basta fare anche qualche semplice confronto. Negli anni Sessanta, negli anni del programma Apollo, la situazione economica e sociale dell’Occidente era indubbiamente migliore rispetto a oggi; lo era anche negli anni Ottanta, quelli del programma Shuttle, e ancora negli anni Novanta, in cui abbiamo avviato la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. Oggi viviamo in una fase di depressione economica senza precedenti, iniziata almeno dal 2007-2008. Nel 2011 la NASA ha mandato in soffitta la sua flotta di Shuttle. Ricordo benissimo il giorno in cui l’Economist uscì nelle edicole con una copertina che titolava: “La fine dell’era spaziale”. Non è che l’era spaziale ha ricevuto uno stop a causa della crisi economica; è la crisi che è peggiorata, che si è avvitata su se stessa, anche perché abbiamo messo un freno ai budget spaziali negli Stati Uniti e in Europa.
Per questo siamo convinti che un centro dell’IIF dedicato allo Spazio sia il passo giusto da fare per proseguire nella direzione che abbiamo imboccato due anni fa. Lo Spazio, di per sé, incoraggia a guardare al futuro. Se si tagliano i budget per mandare donne e uomini nello Spazio, si rinuncia a una fetta di futuro. Non meravigliamoci allora se la generazione che rappresento, quella a cavallo tra i venti e i trent’anni, ha perso completamente fiducia nel futuro, soprattutto in un futuro da vivere in questo Paese. Molti di voi avranno letto, qualche giorno fa, un articolo su un giovane neolaureato di Ingegneria aerospaziale a Napoli assunto dalla NASA per lavorare al programma Mars Sample Return dopo essersi visto sbattere in faccia le porte di mezzo comparto aerospaziale italiano. Al netto delle esagerazioni giornalistiche, quello che fa male è leggere il commento del ragazzo: “In Italia non c’è spazio per chi sogna”. Non possiamo permettere che i ragazzi pensino questo. Oggi lanciamo quest’iniziativa anche per dimostrare che in Italia c’è ancora spazio per chi sogna. E il fatto che, tra i promotori di questo Centro, ci sia il professore che ha laureato questo studente, con 110 e lode, il professor Raffaele Savino, ci incoraggia a credere che di sognatori in questa sala ce ne siano parecchi. D’altronde, molti di voi sono della generazione che ha deciso di dedicare la propria vita e la propria carriera allo Spazio perché il 20 luglio del 1969 era davanti alla TV a vedere Neil Armstrong mettere piede sulla Luna. La mia generazione ha visto qualche volo Shuttle (e purtroppo qualche tragico incidente), ha visto la MIR bruciare nell’atmosfera, ha visto la ISS tante e tante volte da dare per scontata la sua presenza, e oggi mette persino in discussione che l’Uomo sia mai stato sulla Luna. Capite bene allora perché ci sia bisogno di restituire visione e ispirazione in questa generazione.
Come IIF, abbiamo iniziato a occuparci dello Spazio fin da quando siamo nati. Una delle primissime collaborazioni è stata proprio con Rino Russo, all’epoca presidente di Space Renaissance Italia: è stato con noi al primo congresso, “Italia 2050”, nel 2013, e poi di nuovo al Congresso Nazionale di Futurologia lo scorso anno, a Città della Scienza, per raccontare la sua visione del futuro dell’Italia nello Spazio e delle strategie da adottare per realizzare quella visione. Abbiamo dedicato il terzo numero della nostra rivista FUTURI al tema del turismo spaziale e in generale della commercializzazione dei voli orbitali e sub-orbitali come primo passo per la nuova Space Economy; e nel quarto numero di FUTURI ancora Rino riepilogava i punti programmatici di una vera e propria agenda per il Near Space in Italia, presentata già a un convegno con l’ASI, e che abbiamo trovato talmente valida da chiedergli di dirigere il primo dei centri di competenza in programma, il Center for Near Space, per realizzare quell’agenda.
Mentre stiamo parlando, la sonda New Horizons, dopo nove anni di viaggio, sta sorvolando Plutone, il più lontano pianeta del Sistema Solare (noi lo chiamiamo ancora pianeta, anche se gli astronomi hanno deciso che non lo è più). C’è stato qualche brivido, qualche giorno fa, quando la sonda ha perso per un paio d’ore i contatti con la Terra ed è entrata in safe mode: il terrore di vedere tanti anni di lavoro sfumare per un guasto tecnico. Ma il peggio è passato e quella di oggi è una data destinata a entrare nella Storia dell’esplorazione spaziale, analogamente all’atterraggio, lo scorso novembre, del lander Philae sulla cometa Churyumov-Geramisenko. Anche lì siamo stati con il fiato sospeso, poi per qualche mese abbiamo disperato di recuperare i contatti, e infine, sorpresa, un mese fa Philae è tornato a dare segni di vita. Un altro successo. Lo scorso 28 giugno il Falcon di SpaceX che doveva portare in orbita il cargo Dragon per la Stazione Spaziale è esploso dopo un paio di minuti dal lancio. Ma questo non metterà fine al programma ambizioso della compagnia di Elon Musk che tra qualche anno sarà la prima compagnia privata a mandare uomini nello Spazio. Abbiamo perso, negli scorsi decenni, due Shuttle con tutto il loro equipaggio: un tributo di sangue altissimo, ma non ci siamo arresi, non abbiamo deciso di non provarci più. Bene, questo è lo spirito che deve guidarci: la consapevolezza delle difficoltà, quando si ha a che fare con lo Spazio, e la volontà di non arrendersi.
Non arrendiamoci all’idea che non ci sia un futuro per l’umanità nello Spazio. In tanti negli ultimi anni hanno cercato di convincerci che tutto sommato su Marte è inutile andarci, perché possiamo mandarci i rover, e così anche sulla Luna. Non è così: perché le macchine non arriveranno mai a raggiungere le nostre stesse capacità d’intuizione, di autonomia, di iniziativa. Un uomo su Marte può raccogliere più dati di cento sonde, rover o robot. Non arrendiamoci all’idea che l’industria spaziale debba essere solo satelliti di telecomunicazione, di osservazione, di navigazione. C’è tanto altro che possiamo fare nello Spazio, dall’impiego della stampa 3D all’estrazione di minerali negli asteroidi vicini alla Terra. Non arrendiamoci all’idea che il turismo spaziale debba essere solo per i super-ricchi: progetti come quelli di Hyplane, che il CNS porterà avanti nei prossimi anni, sfruttano il sogno del turismo spaziale per rendere realizzabili obiettivi più concreti, come i voli di linea ipersonici, per abbreviare i viaggi da un punto all’altro della Terra, per rendere il nostro pianeta ancora più piccolo e interconnesso. Non arrendiamoci all’idea che non abiteremo mai sulla Luna o su Marte. Solo le enormi potenzialità di una base scientifica sul lato oscuro della Luna, per esigenze astrofisiche e cosmologiche, ci dovrebbero convincere a tentare l’impresa. Solo l’enorme ricaduta economica di un progetto di colonia su Marte dovrebbe convincerci che vale la pena tentare. Non arrendiamoci, infine, all’idea che l’Italia debba restare tagliata fuori dalla nuova era spaziale che si sta aprendo: non abbiamo SpaceX, non abbiamo Virgin Galactic, non abbiamo Orbital, è vero; ma abbiamo pur sempre uno straordinario know-how da rilanciare, uscendo dalla logica di andare sempre con il cappello in mano a Roma per chiedere fondi e chiedendoli sempre di più agli investitori privati, che di soldi oggi ne hanno assai più dei governi.
Certo, non dobbiamo necessariamente avere l’ambizione di colonizzare Marte, come vorrebbe Elon Musk. Né di costruire subito miniere sugli asteroidi, come vorrebbe James Cameron. Possiamo realizzare questi obiettivi con una politica dei piccoli passi, che – la Storia insegna – ha sempre pagato sul lungo termine. Oggi iniziamo con il Near Space, con lo Spazio a noi più vicino, quello sub-orbitale. Poi domani sarà il momento dell’orbita terrestre, dopodomani dello spazio geo-lunare e dopo chissà. Noi oggi iniziamo con un piccolo passo, per stimolare l’Italia a iniziare a imboccare questa strada con consapevolezza e senza strafare. Speriamo ci porti lontano.
Lo Spazio che noi vogliamo deve spingere il nostro paese e il nostro pianeta verso un altro tipo di futuro. Parliamo a volte, e l’ho fatto a che io, di “colonizzare” lo Spazio; niente di più sbagliato. Non dobbiamo fare l’errore di credere che lo Spazio sia soltanto un altro ambiente da sfruttare, dopo che abbiamo già sfruttato fino all’esaurimento le risorse della terra, dell’aria, dell’acqua. Immaginiamo la presenza umana nello Spazio come punto d’inizio di una nuova ecologia, di uno sviluppo sostenibile non più solo sulla Terra, ma nello Spazio. Iniziamo a convincerci che non bisogna più mandare satelliti in orbita senza poi farli rientrare in atmosfera, per distruggerli, o trasferirli in un’orbita cimitero, perché abbiamo già sporcato tutta l’orbita terrestre di spazzatura spaziale. Se questo è l’inizio dell’espansione umana nello Spazio, allora è meglio restare sulla Terra. Dobbiamo immaginare un nuovo inizio. Un’industrializzazione sostenibile dello Spazio. Una Space Economy che sopperisca alle lacune dell’economia della nostra Terra. Lo Spazio dev’essere l’industria pesante del nostro futuro. Oggi siamo convinti che il futuro sia solo app digitali, connessione 4G e Google glass. Non è possibile. Il digitale non ci darà un futuro migliore, anzi: toglierà sempre più posti di lavoro e aumenterà la disoccupazione tecnologica. Non possiamo, né vogliamo, fermare la rivoluzione digitale; ma non andremo lontano se non la assoceremo a una rivoluzione spaziale. L’economia del futuro non dev’essere fondata solo sul digitale, ma anche sull’industria pesante, quella spaziale, in grado di creare milioni di posti di lavoro nel mondo. Se vogliamo dare un futuro ai tanti disoccupati di questa Regione, di questo Paese, dobbiamo investire nello Spazio.
Chiudo ricordando velocemente anche l’altro obiettivo del Center for Near Space: ridare ispirazione alle giovani generazioni. I ragazzi che negli anni Cinquanta entrarono alla NASA lo fecero perché in televisione c’erano Walt Disney e Werner Von Braun a raccontargli come poteva essere il nostro futuro nello Spazio. Facciamolo anche noi. E qui mi rivolgo al presidente del CIRA, Luigi Carrino, che ringrazio per essere oggi con noi: bisogna proseguire con convinzione nel progetto di realizzare un Parco dell’Aerospazio a Caserta. Questo è il modo migliore per restituire ispirazione ai giovani. Parliamo con loro di Spazio in modo divertente, con grandi attrazioni in grado di fargli vivere il sogno spaziale. Noi come Center for Near Space stiamo lavorando per offrire al pubblico brevi voli parabolici per simulare la microgravità. Siamo pertanto assolutamente disponibili a lavorare con lei su questo ambizioso progetto. La Cité de l’Espace a Tolosa attira ogni anno quattro milioni di visitatori. Credo che valga la pena buttarsi a capofitto in questo progetto, quale che sia il costo, perché guadagneremo dieci volte tanto in ricavi diretti e, soprattutto, nel ricavo indiretto di spingere migliaia di giovani a tornare a occuparsi di Spazio. Perché dobbiamo anche avere il coraggio di dirci che i soldi non sono tutto e che vogliamo andare nello Spazio non solo per rilanciare la nostra economia, ma anche per ragioni che non conosciamo. Vent’anni fa, in un’intervista, il grande scrittore di fantascienza Ray Bradbury pronunciò queste bellissime parole, con cui vorrei chiudere: “Com’è possibile che preferiamo guardarci la punta delle scarpe piuttosto che la grande nebulosa di Orione? Come mai abbiamo perso la Luna e siamo tornati indietro da Marte? Il problema è costituito, naturalmente, dai nostri politici, uomini che non hanno poesia nel cuore, né sogni nella testa. Giunti sulla Luna, la poesia ha iniziato a svanire. E, senza poesia, i sogni non durano. Abbiamo bisogno dello Spazio per una serie di motivi che non abbiamo ancora scoperto”.
La presentazione di Gennaro Russo
La presentazione di Vincenzo Torre
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