L’Italian Institute for the Future (IIF) nasce da una serie di esigenze pressanti che fino a oggi non hanno trovato risposta nella realtà italiana e internazionale. Il progetto è nato in primo luogo per rispondere al bisogno crescente di individuare soluzioni per le grandi sfide che il futuro pone all’Italia, all’Europa e al pianeta nel lungo periodo. Ancora oggi si sottovaluta l’evidenza che i principali problemi che caratterizzano l’attuale periodo storico, dal cambiamento climatico alla crisi economico-finanziaria, dalla crescita demografica alla disoccupazione, sono l’effetto di scelte compiute in passato senza riflettere sulle loro conseguenze a lungo termine, se non addirittura l’effetto di scelte non compiute.
Da più parti e con sempre maggiore urgenza, eminenti studiosi di diverse discipline sottolineano che nei prossimi decenni ci troveremo ad affrontare problemi ancora più gravi legati ai limiti della crescita, alle ricadute sul fragile sistema di welfare dell’aumento dell’aspettativa di vita, alla riduzione delle risorse idriche, alla sicurezza alimentare, al riscaldamento globale, alla pressione demografica dei paesi in via di sviluppo, alla crisi energetica, senza parlare delle sfide che non siamo in grado ancora di prevedere. Il fisico e cosmologo sir Martin Rees sostiene che l’umanità abbia una possibilità su due di non sopravvivere al XXI secolo.
Nonostante queste continue sirene di allarme, la politica sembra incapace di immaginare un futuro a lungo termine. Questa situazione è tanto più grave in Italia, uno dei paesi che pensa meno al futuro. Un’intera generazione di giovani è stata tagliata fuori dal mondo del lavoro. Il prodotto interno lordo è in calo da anni. L’innovazione resta una vuota parola. I governi si succedono a velocità allarmanti. In questo momento l’Italia non è in grado di offrire ai suoi cittadini un’idea del futuro del paese, a causa dell’incapacità della classe dirigente, del settore economico-produttivo e della società civile di pensare seriamente al futuro.
Un centro di futures studies deve essere il punto di contatto tra il mondo imprenditoriale e finanziario, quello della politica e il mondo della ricerca.
La branca dei futures studies non è nuova: l’Italia annovera uno dei padri fondatori di questa sorta di metadisciplina, Aurelio Peccei, che nel 1968 istituì il Club di Roma. Non sorprende che Peccei provenisse non da ambiti accademici, ma dal settore imprenditoriale. Benché diversi centri di futures studies siano sorti come spin-off universitari, i più influenti tra di essi sono think-tank indipendenti che raccolgono personalità slegate dagli orizzonti limitati del mondo della ricerca pubblica. Un centro di futures studies deve piuttosto essere in grado di orientare la ricerca pubblica verso obiettivi di lungo periodo che logiche accademiche e limiti di finanziamento non consentono di perseguire. Deve essere il punto di contatto tra il mondo imprenditoriale e finanziario, quello della politica e il mondo della ricerca.Eppure, diversi governi – dalla Gran Bretagna all’UE agli USA – si stanno dotando di uffici per la pianificazione a lungo termine. In numerosi paesi del mondo – dall’India all’Egitto, dagli Stati Uniti alla Danimarca, dalla Francia al Sudafrica – sorgono istituti e think-tank dedicati ai futures studies, una branca di studio che fonde sociologia, politologia, economia, studi sulla scienza e la tecnologia, per elaborare scenari predittivi e individuare politiche da mettere in atto per evitare gli scenari peggiori e permettere la realizzazione dei futuri più desiderabili.
Il Club di Roma, che nel 1972 produsse il fondamentale Rapporto sui limiti dello sviluppo, ebbe il merito di sollevare ai più alti livelli un tema oggi strategico, quello dei limiti intrinseci della crescita perpetua. L’Italia ha tuttavia progressivamente perso il suo ruolo trainante in questo ambito. Oggi alcuni think-tank politici usano la parola “futuro” per autodefinirsi, ma restano centri di potere personale tendenti alla conservazione dello status-quo. Invece, nel resto del mondo gli studi sul futuro stanno godendo di un nuovo revival in cui vengono investiti milioni di euro.
Il compito che l’IIF si prefigge non è quello di limitarsi a studiare e analizzare i diversi possibili futuri, ma di aiutare a costruire il miglior futuro possibile.
A favorire questo revival sono stati diversi fattori: lo svilupparsi della scienza dei sistemi complessi, che attraverso la teoria del caos e i modelli matematici non-lineari ha iniziato a svelare le strutture sottese a sistemi complessi come i grandi aggregati umani; il boom del data mining, che attraverso capacità di calcolo ed elaborazione sempre più avanzate riesce oggi a individuare, nel marasma dei “big data” prodotti dalla società tecnologica, delle strutture ricorrenti e dunque prevedibili; l’affermarsi delle simulazioni di scenari complessi, che impiega le prestazioni dei supercomputer per realizzare modelli virtuali con i quali poter simulare una struttura sociale e il suo andamento futuro; e infine nuove teorie previsionali, come la cliodinamica, che promettono di realizzare l’antico sogno fantascientifico di una “psicostoria” capace di usare modelli matematici per analizzare le ricorsività della storia.
Ma, per quanto sia fondamentale iniziare a studiare gli scenari a lungo termine, ignorati dalla ricerca istituzionale, non si può pretendere che il futuro sia un oggetto di studio indipendente da coloro che lo studiano. Lo studio stesso del futuro può influenzare la sua realizzazione. L’obiettivo dev’essere dunque quello di individuare, tra i diversi scenari futuri possibili, quello più auspicabile. Un autentico movimento per il futuro deve porsi il compito di proporre delle proprie visioni di lungo periodo e di indicare, proporre e possibilmente adottare (o far adottare) tutti i mezzi necessari affinché queste visioni si traducano in realtà. Il compito che l’IIF si prefigge non è quello di limitarsi a studiare e analizzare i diversi possibili futuri, ma di aiutare a costruire il miglior futuro possibile.
L’Italia può essere avanguardia di un nuovo grande movimento che metta al centro il futuro a lungo termine degli italiani, degli europei, dei cittadini del mondo. Per ottenere quest’obiettivo è necessario che il nostro paese si doti di una realtà che sappia coniugare la tradizionale attività di un think-tank indipendente con quella dei movimenti di opinione e di lobbying. Una realtà che dialoghi con i decisori politici, con il mondo imprenditoriale, con il grande pubblico e con i giovanissimi. Una realtà plurale e democratica che permetta a tutti i cittadini di partecipare a un grande dibattito pubblico sul futuro, dell’Italia e del mondo; un forum permanente che discuta e tratteggi i grandi scenari futuri da realizzare; e che abbia poi la forza di spingere i policy-makers a intraprendere le azioni necessarie a trasformare le utopie in realtà.
L’Italia ha bisogno di una politica lungimirante, senza la quale non è possibile lavorare per un futuro sostenibile. Un forum periodico in grado di riunire gli esponenti di tutte le forze politiche del paese per elaborare una visione dell’Italia del futuro potrebbe rivelarsi un ottimo strumento per favorire politiche di programmazione a lungo termine e per ridurre la conflittualità tra gli schieramenti, nel rispetto reciproco della diversità di ciascuno.
L’IIF intende perseguire questo obiettivo istituendo un Istituto per il Futuro che si ponga il compito di elaborare visioni di lungo periodo, individuare tra i diversi scenari futuri quelli più auspicabili, proporre i metodi per trasformarli in realtà, diffondere il pensiero sul futuro nell’opinione pubblica, nel mondo imprenditoriale, nella politica. Quest’organizzazione potrà partire dall’Italia per diffondersi poi altrove, incrociandosi con realtà di futures studies già esistenti, che da centri di studio del futuro devono diventare ora centri per la costruzione – o meglio per la ricostruzione – del futuro.
L’Italia ha bisogno di una politica lungimirante, senza la quale non è possibile lavorare per un futuro sostenibile.
Il contributo decisivo dei centri di ricerca sui futures studies è infatti duplice. In un primo momento essi agiscono come un prisma che scompone la luce dei grandi problemi del nostro tempo per analizzarne i singoli componenti in un’ottica multidisciplinare. In un secondo momento il loro scopo è quello di ricomporre il “fascio di luce” e dirigerlo verso obiettivi specifici nel futuro, aiutando la società a gettare uno sguardo sul territorio inesplorato del domani.
Tocca alle giovani generazioni impegnarsi per cambiare il futuro nel quale dovranno vivere. Esse scontano oggi sulla propria pelle le conseguenze di una lunga incapacità decisionale delle generazioni che le hanno precedute. In loro c’è la consapevolezza che i problemi di oggi nascono dal fatto che, nei decenni passati, non si sono prese le giuste contromisure per attenuare gli effetti collaterali di scelte che, se apparivano auspicabili nel breve periodo, si sono rivelate tragicamente nefaste nel lungo periodo. Le giovani generazioni sono altresì consapevoli che nel corso della loro vita dovranno affrontare sfide che le metteranno di fronte a scelte difficili. Esse sono dunque cresciute pensando al futuro e abituandosi a immaginarlo a tinte fosche. Solo loro possono assumersi il compito di mettere in piedi una serie di programmi a lungo termine che producano effetti nel corso non di anni, ma di decenni. Solo loro potranno, tra cinquant’anni, avere modo di valutare se le azioni messe in pratica nei decenni passati hanno prodotto i loro frutti.